E chi dice vi dice che sia una disgrazia?

V. Van Gogh – Contadino

C’era una volta un contadino cinese al quale era scappato un cavallo. Tutti i vicini cercarono di consolarlo, ma il vecchio cinese, calmissimo, rispose: “E chi vi dice che sia una disgrazia?”.
Accadde infatti che, il giorno dopo, proprio il cavallo che era fuggito ritornasse spontaneamente alla fattoria, portandosi dietro cinque cavalli selvaggi.
I vicini, allora, si precipitarono dal vecchio cinese per congratularsi con lui, ma questi li fermò dicendo:” E chi vi dice che sia una fortuna?”.
Alcuni giorni dopo, il figlio del contadino, cavalcando uno di questi cavalli selvaggi, cadde e si ruppe una gamba. Nuove frasi di cordoglio dei vicini e solito commento del vecchio cinese: “E chi vi dice che sia una disgrazia?”.
Manco a farlo apposta, infatti, scoppiò una guerra e l’unico a salvarsi fu proprio il figlio del contadino che, essendosi rotto una gamba, non era potuto partire per il fronte.

(Da “Il caffè sospeso”, Luciano De Crescenzo)

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Neruda: la responsabilità dei propri fallimenti

Non dare la colpa a nessuno, non lamentarti mai di niente e di nessuno perché essenzialmente tu hai fatto la tua vita.
Accetta la responsabilità di costruirti stabilmente te stesso e anche il valore d’incolparti nel crollo per cominciare da capo, eliminando difetti ed errori.
Il trionfo del vero uomo sorge dalla cenere degli errori.
Non lamentarti mai dell’ambiente; e di quelli che ti circondano, ci sono che nel tuo stesso ambiente seppero vincere, le circostanze sono buone o cattive secondo la fortezza del tuo cuore. Impara a convertire tutte le situazioni difficili in un’arma per lottare.
Non lamentarti della tua povertà, della tua solitudine o del tuo destino, affronta con valore ed accetta che in una altra maniera sono risultati dei tuoi atti e la prova che hai da vincere.
Non amareggiarti con il tuo proprio fallimento, non addebitarlo a qualcun altro.
Accettati adesso o continuerai a giustificarti come un bambino.
Ricorda che qualunque momento è buono per cominciare e che nessuno è tanto terribile per zoppicare.
Non dimenticarti che la causa del tuo presente è il tuo passato, come la causa del tuo futuro è presente.
Impara dai forti e dagli audaci, imita i violenti, gli energici ed i vincitori e chiunque non accetti situazioni e chiunque vinse nonostante tutto.
Pensa meno ai tuoi problemi, perché loro senza respiro moriranno, impara a nascere dal dolore e ad essere più grande, che è il più grande degli ostacoli.
Guardati nello specchio di te stesso.
Inizia ad essere sincero con te stesso riconoscendoti per il tuo valore, per la tua volontà e per la tua debolezza di giustificarti.
Ricordati che dentro di te c’è una forza che tutto può fare, riconoscendo te stesso, più forte finirai di star male, perché tu stesso sei il tuo destino e nessuno può sostituirti nella costruzione del tuo proprio destino, alzati e guarda tu fai parte della forza della vita.
Adesso svegliati, cammina, lotta.
Deciditi e trionferai nella vita.
Non pensare mai alla fortuna, perché la fortuna è il pretesto dei falliti.
(Tu sei il risultato di te stesso – Pablo Neruda)

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Nietzsche: indagine sull’amicizia

Caravaggio – Giuditta e Oloferne (dettaglio)

16. Al di là del ponticello
Nei rapporti con quelle persone che si vergognano dei propri sentimenti, occorre saper simulare: esse provano un odio improvviso contro chi le coglie in un momento di particolare tenerezza o generosità, come se avessimo scoperto un segreto. Se in tali momenti si vuole far loro del bene, basta farle ridere o dire loro una cattiveria fredda e scherzosa: i loro sentimenti si raffreddano ed esse sono nuovamente padrone di sé. ma vi sto dando la morale prima della storia. Una volta, nella nostra vita, siamo stati così vicini che niente pareva poter turbare la nostra amicizia, la nostra fratellanza, come se tra noi ci fosse soltanto un breve ponticello. Una volta volevi salirci, ed io ti domandai: “Vuoi venire da me, al di là del ponticello?”. Ma non volesti più, e la seconda volta che te lo chiesi tacesti. Da allora tra noi si sono frapposte montagne e fiumi impetuosi e tutto ciò che può separare e rendere estraneo; se anche volessimo avvicinarci, non lo potremmo più. Se però ripensi a quel ponticello, non hai più parole – soltanto singhiozzi e meraviglia. (“La Gaia Scienza” – F. Nietzsche)

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Duchamp: “Sono giunto alla conclusione che non tutti gli artisti sono scacchisti, ma che tutti gli scacchisti sono artisti”

Se un signore preleva un oggetto all’interno della propria casa o da un luogo pubblico e lo sistema così com’è in una galleria d’arte, costui realizza un’opera cosidetta “ready-made” (letteralmente pronta all’uso). Il quid fornito dall’artista è dato dunque da questa scelta scioccante.
L’inventore di questa idea arrivò a disinstallare opportunamente un orinatoio dalla sua postazione originaria per sistemarlo in bella mostra: costui era il noto artista Marcel Duchamp (1887 – 1968).

Intorno al 1923, Duchamp allentò progressivamente il suo disimpegno artistico, e per dieci anni si occupò quasi esclusivamente di scacchi raggiungendo livelli alti. Stiamo parlando di un giocatore che divenne capitano della squadra olimpica francese, compagnine che annoverava tralaltro uno dei più grandi campioni della storia, Alexander Alekhine. Un amico, Man Ray (grande esponente del surrealismo) scrisse a proposito della nuova ossessione:  “Duchamp passò la maggior parte della settimana del viaggio di nozze a studiare problemi di scacchi, e sua moglie per la disperazione si vendicò alzandosi una notte mentre egli dormiva e incollò tutti i pezzi alla scacchiera. Divorziarono tre mesi dopo.
Nel 1963 è presente all’inaugurazione della mostra retrospettiva al Museo dell’Arte di Pasadena (sobborgo di Los Angeles) intitolata «Opere fatte da Marcel Duchamp o Rrose Selavy» e in quella occasione si fa fotografare in una partita di scacchi con una bella e prosperosa modella nuda (Eve Babitz).
Duchamp vide negli scacchi una fonte di creazione continua, mai monotona e sempre gravida. Un conflitto anche violento ma che realizza un opera, un nuovo artistico. Un processo creativo che arrivò talvolta a considerare più puro perchè a quei tempi non rendeva ricchi. (Conner)

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Camicia, bretelle ed erotismo raffinato

Night in the city

Eleganza, romanticismo ed erotismo raffinato paiono esclissati dai nuovi costumi. Eppure il palato resiste disperatamente a questa brodaglia colorata senza classe; una pietanza di bell’aspetto priva di sale e di sostanza il cui consumo viene quotidianamente fomentato dal bombardamento mediatico. Senza neanche il conforto di icone, quell’ideale che fa vibrare le nostre corde più intime sbiadisce con gli anni perdendosi alla deriva. Eppure un artista ci soccorre nel riesumare un mondo passato cui rivendichiamo, grati e affascinati, l’appartenenza: il suo nome è Jack Vettriano.

Artista più popolare che noto, le sue riproduzioni stanno quasi ovunque ma fino a poco tempo fa in pochi conoscevano il suo nome. Cartoline, poster, copertine di libri nelle nostre stanze portano la firma di questo artista dal background non accademico e per questo spesso inviso dalla nomenklatura.

Stanze come cassetti e ingoiate dalla notte metropolitana sono schiarite da calde luci artificiali; queste lanciano ombre lunghe che rendono densa l’intimità. Una coppia domina il campo in abbigliamento estremamente raffinato: l’uomo non mostra mai nudità, la donna sfodera una femminilità sicura con qualche accessorio; l’intimità è quasi mai esplicita. C’è l’equivoco del prima o dopo, della discussione o dell’andata a letto, l’equivoco del fascino e della classe. (Conner)

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L’importanza di scegliere le parole sapientemente

"L'attesa" di Edward Hopper

Io non ho bisogno di denaro
ho bisogno di sentimenti
di parole
di parole scelte sapientemente
di fiori detti pensieri
di rose dette presenze
di sogni che abitino gli alberi
di canzoni
che facciano danzare le statue
di stelle che mormorino
all’orecchio degli amanti.
ho bisogno di poesia
questa magia che brucia
la pesantezza delle parole
che risveglia
le emozioni e dà colori nuovi

Alda Merini

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Rick’s Café Americain: “Play it again, Sam..”

Ilsa: Suona la nostra canzone, Sam. Come a quel tempo.
Sam: [sospirando] Non conosco cosa dite, signorina.
Ilsa: Suonala, Sam. Suona… “Mentre il tempo passa”.
Sam: [sospirando] Non ricordo signora. Mia testa un poco stanca.
Ilsa: Su, te l’accenno io. Da-dy-da-dy-da-dum, da-dy-da-dee-da-dum…
[Sam comincia a suonare]
Ilsa: Canta Sam.
Sam: [cantando] You must remember this / A kiss is just a kiss / A sigh is just a sigh / The fundamental things apply / As time goes by. / And when two lovers woo / They still say, “I love you” / On that you can rely / No matter what the future brings / As time goes by…
Rick: [arrivando lì] Sam, Non ti avevo detto di non suonarla più?
[Guarda Ilsa. Sam chiude il piano e se ne va]

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Addio alle armi – Ernest Hemingway

 
"..non facciamo mai quello che desideriamo, non lo facciamo mai. "
 
Ernest Hemingway
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Mal di pietre – Milena Agus

“…stava sveglia a guardare come lui era bello, sfruttando qualche chiarore nell’oscurità, e quando sussultava spaventato, come se sentisse sparare, o che cadevano le bombe sulla nave e la spezzavano in due, lo sfiorava leggermente con un dito e il Reduce nel sonno le rispondeva attraendola a sé e non era distante da lei neppure quando dormiva. Allora nonna prendeva coraggio e si faceva una nicchia nella curva del suo corpo e si metteva da sola il braccio del Reduce attorno alle spalle e la mano sulla testa e l’impressione che le faceva questa posizione mai provata era tale che non riusciva a rassegnarsi a quella cosa, secondo lei senza senso, che è addormentarsi quando si è felici. Quindi c’era da chiedersi se gli innamorati vivessero così. E se fosse possibile. E se non decidessero anche loro a un certo punto di mangiare e dormire.” (Milena Agus)

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L’immortalità – Milan Kundera

 
"Solitudine: dolce assenza di sguardi.
Una volta entrambi suoi colleghi si erano ammalati e lei per due settimane aveva lavorato nella stanza da sola. Aveva constatato con sorpresa che la sera era molto meno stanca. Da quel periodo sapeva che gli sguardi erano come pesi che la buttavano a terra, oppure come baci che le succhiavano le forze; che le rughe che aveva in volto erano state incise dagli aghi degli sguardi."
 
Milan Kundera
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